Sono il visitatore numero:

mercoledì 26 marzo 2014

Tutto può succedere


Non sono mai stato un gran lettore. E con questo, mi riferisco agli anni passati. E' da un paio d'anni circa, invece, in cui non riesco ad evitare di avere un libro da poter spulciare nelle decine di minuti che ritaglio appositamente dalle mie giornate. E quando ne finisco uno, è un po' come se perdessi una piccola parte di me.


Di recente non ho avuto molta voglia di scrivere, e dato che vivo di fiammate, d'impulso, dovevo semplicemente attendere che il vento dei miei pensieri tornasse a soffiare pretenziosamente intorno a me. Quando ciò accade, provo a descrivere con le parole ciò che nella mia mente aleggia come un disegno astratto.

L'ultimo mese è passato tranquillamente. L'arrivo della primavera ha sempre giovato alla mia vita, nonostante sono tutt'ora dell'idea che la mia stagione preferita sia l'autunno. L'autunno contiene, con i suoi colori, una velata e fascinosa malinconia, che nei tramonti d'ottobre e negli occhi delle donne, è sempre sempre stata in grado di farmi innamorare.
Ora, il primo sole che scalda le giornate (in verità, non proprio negli ultimi giorni) ed il verde che comincia a dipingere i postumi del paesaggio grigio invernale, regalano brio al quotidiano.

Il libro che proprio oggi ho finito di leggere, Portami a casa di Jonathan Tropper, è stato un apprezzatissimo regalo da parte di una famiglia di amici davvero speciale. La frase con cui si chiude, è la verità più candida ed inevitabile che abbiamo: tutto può succedere.
Ma fino a quando entreremo in un aula e andremo a sederci a metri di distanza da chi ci sta più vicino, finché saliremo su di un treno e cercheremo un posto da 4 persone vuoto per sederci poi da soli, e finché occuperemo i posti a sedere vicino a noi con i nostri giubbotti ed i nostri zaini impedendo a qualcun altro di sedersi, beh, il piacere della novità sarà solamente un lontano miraggio.

Una menzione speciale:
Qualche settimana fa, mentre ero ormai in procinto di addormentarmi, un messaggio del tutto gratuito ed inaspettato, da parte di un amico, una persona che ammiro e per la quale nutro una stima infinita, ha 'rotto' il silenzio della mia camera. Non mi emoziono facilmente (purtroppo), ma questa volta non sono nemmeno riuscito a fingere di trattenermi.
Sei una fonte di ispirazione per la mia vita, gracias Don Humberto.


Matteo.

domenica 23 febbraio 2014

23.02.2014

Amo viaggiare in treno e, da quando ho iniziato a studiare a Milano, sono diventato a tutti gli effetti un pendolare. La tratta che unisce il mio paese della bassa comasca, al centro di Milano, dura una mezzora scarsa. Certo, non è che sia la mezzora più entusiasmante della mia vita, ma specialmente quando il treno non è troppo affollato, è un viaggio tranquillo e piacevole. Un po' diverso rispetto a viaggiare sui binari della
Flåmsbana, che si fanno strada tra le meraviglie della Norvegia occidentale. Non ci sono né fiordi né cascate e nemmeno quelle vallate interminabili che mi ricordo cosparse di greggi di pecore 'messi lì' a rendere ancora più pittoresco il paesaggio attorno. Beh, a pensarci bene qualche volta, attraversando il Parco del Lura, capita di vedere uno stoico pastore che porta al pascolo il suo gregge, ma il bianco sporco delle pecore finisce per dissuadersi tra il grigiore del cielo e dei mostri di cemento della periferia milanese.
Milano invece è bella e austera. Milan l'è on gran Milan, dicono, e la passeggiata che quotidianamente mi porta da Stazione Cadorna ai piedi del Duomo, dà ossigeno alla mia vita, e, tra le parlate di uomini e donne di ogni parte del mondo, mi sento un po' turista anch'io.
Oggi c'è un sole bellissimo che splende alto in un cielo che sa di primavera. Ci fa quasi illudere che la bella stagione stia ormai per bussare alle nostre porte, lasciandosi dietro quelle più severe e riportando colori e brio nelle nostre vite.

Non sono metereopatico, ma basta un giorno di questi per scordarne cento di pioggia.

Matteo.

venerdì 14 febbraio 2014

Cos'è San Valentino?

C'è qualcosa, quello che gli occhi dicono, che riesce ad esprimere concetti altrimenti impronunciabili. Gli occhi parlano di cose per le quali non sono ancora state inventate le giuste parole. Eppure, riusciamo sempre a capire quello che loro vogliono dirci.

Comunque, oggi è San Valentino. San Valentino, la festa degli innamorati, di chi si ama, e allora che abbia inizio lo show di un'ironia altamente fastidiosa di chi, segnato da qualcosa che a loro pareva amore ma invece non lo era, brutalizza e sprezza questo sentimento, sfoggiando un qualunquismo mostruoso. 

Ma cosa sarebbe la vita senza amore? Cos'altro riuscirebbe a farci svegliare colmi di una gioia incontenibile, a farci passare notti insonni sognando ad occhi aperti, se non l'amore? E' la gioia più tangibile, quella che segna i giorni, che prepara il futuro, è il vento di passione che scalda anche i cuori più freddi. Amare è una dipendenza meravigliosa, è come navigare tra i colori di un tramonto infinito, mentre il mare rumoreggia lieto.
Amore è anche molto altro. E' sperare, soffrire, aspettare, fare sacrifici. Sì, perché la felicità più bella è quella che porta i graffi dei sacrifici compiuti per raggiungerla. 
Ma San Valentino non è solo la festa delle coppiette, è anche la festa di chi ama in silenzio, di chi ci crede, di chi è costretto ad amare a testa bassa perché il peso del passato è troppo opprimente. E' la festa di tutti gli innamorati non corrisposti, perché è amore anche questo. Anzi, forse è più amore di tanti altri.

Buon San Valentino a tutti.



domenica 9 febbraio 2014

Ventuno

Ventun anni sono un traguardo importante. Per esempio, non bastano quattro mani per fare ventuno. La primavera comincia nel giorno ventuno, è il ventuno il numero del Blackjack e, nella smorfia napoletana, è il numero che simboleggia la donna nuda. Due + uno fa tre, il numero perfetto, la trinità, il numero che il Mozart dei canestri Drazen Petrovic portava sulla canotta dei Nets.

Festeggiare con gli amici migliori, davanti ad un paio di buone birre, aiuta a riconciliarsi con il significato più intimo della serenità umana. Scostarsi da battaglie interne significative o meno, lasciar da parte ostinazioni e convinzioni che, per quanto bene possano fare all'intelletto, non aiutano la quiete.

Penso che se su molti ambiti fossi più flessibile, la mia vita ne gioverebbe. Dietro ogni mia scelta c'è un vorticoso intreccio di pensieri e previsioni, spesso anche di aspettative.
Sono molto selettivo nelle cose. Per esempio, in amore, quando conosco una nuova ragazza capisco già dal suo viso se potrò mai innamorarmi di lei. C'è quel qualcosa in più, di autentico, che va oltre la bellezza. Il modo in cui muove le mani, in cui parla, in cui pone lo sguardo, il modo in cui sia capace di segnare la differenza tra l'ascoltare ed il sentire, tra il guardare ed il vedere.
Credo molto nel caso. Sono dell'idea che niente capiti senza una ragione precisa, ogni vibrazione della vita è una potenziale proiezione di grandi cose. Se penso alle cose più belle che mi siano mai capitate, realizzo che sono state tutte il frutto di un'impercettibile evento iniziale risultato poi determinante nel portare alla conclusione giunta.

Siamo quel che meritiamo di essere, il risultato dell'espressione algebrica che inizia con i numeri della nostra data di nascita e si porta dietro addendi e sottraendi di ciò che è stata, nel bene o nel male, la nostra esistenza.

Matteo

lunedì 3 febbraio 2014

Stelle cadenti.

Una cosa che mi mancherà -e comunque, già mi manca- della Norvegia è il cielo. Un cielo che di notte si riempiva di così tante stelle che lasciando cadere la testa all'indietro ci si perdeva tra loro. 
Data la (quasi) totale assenza di inquinamento visivo, nella mia isola di notte si poteva ugualmente vedere. Ci si riusciva perché i corpi luminosi erano talmente tanti che, riflessi sull'acqua, davano luce. Una, due, tre stelle cadenti, e poi ancora. Non ci si doveva nemmeno sforzare per ammirarle, così tante da non avere nemmeno abbastanza desideri da esprimere per poterle 'riempire' tutte. E poi quella fiamma, prima verde, poi viola, poi gialla, messa lì ad infuocare il buio: sua maestà l'Aurora Boreale, che sembra nascere dall'oceano e che si perde dove non basta più il mare. Siamo così nulli davanti a questa immensità chiamata natura.



Nell'intervento precedente parlavo di come si debba essere -diventare- capaci di perdere i ricordi, anche se chi mi conosce bene sa quanto mi stia costando fare un'affermazione del genere. Eppure, se davvero si vuole provare a ricostruire qualcosa, a guardare avanti, bisogna essere in grado di lasciarci il passato alle spalle. Magari senza cancellarlo, anche perché dimenticare è la materia che in amore è la più difficile da affrontare. E' impossibile, ed ammetto di aver più volte sognato di essere il Jim Carrey protagonista del meraviglioso  film Eternal Sunshine of Spotless Mind. Si può provare però a 'coprirlo' fino al giorno in cui sfogliarlo nuovamente non faccia tornare mal di pancia, in cui ricordarlo possa portare un sorriso vero, e non quello amaro fatto della presunzione di esserci (senza successo) riusciti.

L'amore umano, inteso come sfera dei sentimenti, è un po' come l'universo. Non si potranno mai scoprire i suoi limiti, capire fino a dove possa espandersi, però comunque ogni piccola delusione rappresenta una galassia che, formatasi, occupa uno spazio che diventa perso, non riutilizzabile. 
Siamo tutti dei piccoli disillusi, vittime di sogni costruiti badando più alle loro dimensioni che alla loro effettiva funzionalità.
Ci piace così, ci piace farci un po' male da soli.

Matteo


giovedì 30 gennaio 2014

Il bagaglio arriva per tutti (o quasi).

Una settimana credo sia stata la scelta tempisticamente migliore che potessi fare, in modo di lasciare la Norvegia con quel velo ti tristezza atto a portarmi il desiderio di tornarci al più presto.
Quando giri per il paese, vai al supermercato o in pasticceria, e la gente ricordandosi di te. ti ferma per chiederti come stai e per quanto starai lì, vuol dire che sei diventato uno di loro. A più di 2500km dall'Italia vi sorge un pittoresco villaggio di cui, almeno con il mio cuore, ne sono cittadino.
Domenica ho fatto una piccola visita dell'abitato di Beik, piccolo villaggio sulla costa oceanica dell'isola. Il paesino si trova a meno di 5 minuti d'auto da casa mia, ci vivono qualche centinaio di persone. Si affaccia su una spiaggia incantevole, dove indipendentemente dalla stagione non è difficile scorgere qualcuno che vi ci reca a far galoppare il proprio cavallo, dipingendo idealmente quadri che nemmeno il miglior George Stubbs si sarebbe potuto immaginare. Lo scenario è meraviglioso, il modo il cui Bleik si inculca nel paesaggio circostante è poesia. L'aria che si respira passeggiandoci è però ricca di spaventoso mistero, è spettrale. Non sono rari i casi di marinai e pescatori di questa località con cui l'Oceano non fu lieve. Innumerevoli imbarcazioni distrutte dal mare sono state  poi riconsegnate alla spiaggia dalle correnti. Se ne esiste davvero una, Bleik allora è la città fantasma per eccellenza.


Il giorno successivo è stato invece il momento di fare ritorno in Italia.
Tornare nelle terre scandinave è stato un tuffo non indifferente nei ricordi più caldi del mio trascorso. Tante persone conosciute tra questi mari, sono entrate nella mia vita con la promessa di non uscirvi più. Alcune però l'hanno fatto. Accettare il proprio passato è anche riuscire a lasciare andare i ricordi, saperli perdere. Nessuno se ne va, se il suo cuore dice di voler restare, e questa è una cosa che bisogna sempre tener presente.

Aspettare il proprio bagaglio agli arrivi dell'aeroporto è come aspettare, nella vita, che arrivi il momento giusto. Bisogna saper cogliere il proprio, armarsi di sana pazienza. Ci sono coloro a cui arriva prima, e coloro che invece devono aspettare di più. Ma a meno che tu non sia proprio sfigato, il 'bagaglio' arriva per tutti.

Matteo

sabato 25 gennaio 2014

Andenes.

Andenes è l'abitato posto all'estremità nord dell'isola di Andøya. La sua forma stretta ed allungata, fa sì che ci voglia quasi un'ora d'auto per percorrerla da nord a sud, mentre molto meno ad attraversarla orizzontalmente. Specialmente qui ad Andenes, il costa-costa richiede, a piedi, sono una manciata di minuti.
La parte che volge ad oriente è divisa da qualche decina di chilometri di mare dalla Norvegia continentale. In questa lingua d'acqua, specialmente d'inverno, non è difficile scorgere i soffi di megattere e balenottere comuni che riaffiorano in superficie per respirare, e le pinne delle orche che vi giungono per banchettare con gli immensi banchi di aringhe. Ad occidente invece, l'oceano aperto, che con le sue infinite sfumature tra il turchese ed il blu intenso, è popolato da giganteschi capodogli. Ho sempre prediletto questa parte della costa, guardare l'orizzonte di fronte a me immaginando la terra promessa che vi sorgev
a da qualche parte là in fondo, chiamata America, era come volare nel vento.
A fare da spartiacque tra le due coste, rivolto verso nord, un imponente faro rosso tutt'ora in funzione.

La mattina seguente il mio arrivo, mi sono diretto a piedi verso la spiaggia. L'odore di salsedine, il canto dei gabbiani e del movimento delle onde, mi hanno fatto ricordare le ore che quotidianamente passavo seduto di fronte a questo straordinario spettacolo offerto dalla natura. L'acqua era calma, rispecchiava perfettamente il mio stato d'animo.
Non c'è neve, se non qualche cumulo gelato rimasto in ricordo delle più recenti precipitazioni. Le strade sono però cosparse di un pulviscolo ghiacciato che le rende quasi completamente bianche. 


Andenes, nella mia visione, non è un luogo che sprizza di gioia. Soffia invece un vento che sembra quasi portare tristezza e malinconia. Il nord della Norvegia è aspro e severo, e non lascia spazio ad altro. Qui ho imparato a convivere e compiacermi della solitudine.

Ci si può innamorare di tante cose: in primis delle persone, ma anche di situazioni, luoghi e quant'altro. Io, di questo luogo senza tempo né spazio, ne sono innamorato.

Matteo.

mercoledì 22 gennaio 2014

In viaggio.

Sembra che nulla sia mai stato scostato dal passato: i quadri, le candele, le luci, anche il profumo del legno -di cui le case qui ne sono composte per il 95%- è lo stesso: sono a casa.
E' bello tornare e percepire che l'affetto che la mia famiglia nutriva per me non sia diminuito affatto. I Rønneberg sono così, umanisticamente parlando, senza eguali. Al mio arrivo la tavola era imbandita con uova, salmone, pane appena sfornato, burro e brunost, tipico formaggio scandinavo la cui lavorazione gli dona il particolare colore marrone da cui poi ne prende il nome.(letteralmente brun-marrone e ost-formaggio).
Il viaggio è andato molto bene, questa volta senza alcun ritardo. Anzi, sono atterrato ad Andenes con più di 15 minuti di anticipo. All'aeroporto di Harstad/Narvik/Evenes, ultimo scalo che precedeva la rotta verso casa, ho passato due ore abbondanti praticamente solo. O meglio, c'eravamo io e Asbjørn, uomo di mezza età membro del personale aeroportuale, con cui ho avuto inevitabilmente modo di scambiare qualche parola. Qui nei mini-aeroporti del nord, gli aerei funzionano un po' come i pullman da noi: il piccolo velivolo è atterrato con già a bordo una manciata di persone dirette alla mia stessa meta, ha aperto le porte, sono salito ed è ripartito. In quei pochi minuti che mi dividevano da casa non potevo fare altro che scrutare dal finestrino con gli occhi lucidi per l'emozione.
Nella tratta Milano-Oslo ho avuto poi modo di conoscere persone interessanti, come una coppia parmigiana di autisti di pullman di linea diretti a Tromsø per godersi le Aurore Boreali, e Taru, tatuatrice e fotografa finlandese, sulla strada di casa dopo aver passato 5 settimane a casa del suo fidanzato sardo.
In questi momenti si diventa inconsciamente tutti parte di una stessa grande famiglia, fatta di storie diverse da regalarsi a vicenda, dispensate con incredibile naturalezza da sorrisi gratuiti e sogni da realizzare. La famiglia dei viaggiatori è realisticamente la più numerosa ed unita che ci sia.


Mentre aspettavo ad Evenes, un pensiero ronzava per la mia testa. Non ho potuto fare altro che riportalo sul primo foglio capitatomi tra le mani. Lo riporto qui sotto.


Ore 20.35, EVE airport

Sto così bene quando viaggio..e quando dico viaggiare, intendo proprio l'essere in transito da un posto verso l'altro, simbolo di quanto per me sia più importante la strada che si percorre piuttosto che l'arrivo. Vorrei una vita fatta di percorsi senza mai una meta precisa. La mia vita come un interrail, fermate mai troppo lunghe da lasciare che la noia possa sopraggiungere, ma cariche di emozioni da spargere poi per la strada che mi accingerò a percorrere, come polvere magica che renda tutto più ricco: i miei ricordi, il mio futuro, la mia speranza.
Ma anche se sono un nomade, mi auguro un giorno di poter entrare nella casa che sarà in grado di ospitare questa mia voglia di evadere, di non appartenere ad alcuno, di perseguire obbiettivi che 'ai più' risultano inconcepibili. E magari, in quella casa, sceglierò di restarci.

Matteo.

lunedì 20 gennaio 2014

Vættir.

Sono seduto sulle scomode sedie del terminal 1 di Malpensa. Non sto a ripetervi quanto adori il moto continuo e quasi esasperato degli aeroporti, per me teatro di momenti indimenticabilmente belli e ohimé anche brutti. Un libro pieno di storie che si leggono negli sguardi che incontro sistematicamente con perfetti sconosciuti, il cui filo della vita tange, per un indissolubile momento, il mio. 

Non vedo l'ora di partire, e dalle vetrate che danno sulla pista noto che il boeing 737 della Norwegian (il "testa rossa", come dice mio nonno) è già in procinto di scaldare i motori.
Partire ha sempre fatto bene alla mia vita, anche quando andarmene voleva dire lasciare pezzi di me stesso. In quei momenti, spesso dominati dalla tristezza, allontanarmi mi aiutava a delineare ancor meglio il percorso per il domani in cui avrei voluto ritrovarmici.
Mi farà bene anche adesso, non ho dubbi.

Arriverò tra qualche ora ad Oslo, da cui prenderò poi il volo diretto ad Evenes. Lì aspetterò un paio d'ore, e poi decollerò per l'ultima breve tratta che in poco più di 20 minuti mi porterà all'ombra del fiabesco faro che domina l'abitato di Andenes.
Ho preparato sul mio cellulare una playlist degli autori più consoni ad accompagnarmi in un viaggio intersecato tra fiordi ed isole; per citare qualche brano, Wild Country (Wake Owl), Atlas Hands (Benjamin Francis Leftwhich), Home from Home (Roo Panes), Stay Alive (José Gonzalez). Canzoni in cui ritrovarmici protagonista, almeno in una strofa.


Venire qui nella mia Isola è per me un'esperienza quasi mistica, come da piccoli lo era rifugiarsi nella casa sull'albero. Casa che qui è fatta invece di spiagge, aquile, alci, renne, balene, orche, mare cristallino, pittoresche case di pescatori che salpano per l'Oceano nella speranza di trovare fortuna. E poi, lassù nel cielo, i meravigliosi giochi di luce della Nordlys, l'Aurora Boreale, che illumina il buio delle infinite notti polari di quel Regno che un tempo sarebbe stato di Odino. 
Questa Terra non è la mia seconda casa, ma è l'altra casa che mi appartiene. Terra in cui, un paio di anni fa, nascevano in me passioni ormai insediate nella mia vita, e calore che tutt'oggi provo a rincorrere con lo stesso furore di quei giorni.

Nell'ultimo periodo mi sento diventato tendenzialmente apatico ai sentimenti. Mi risulta estremamente difficile aprirmi, donarmi a chi prova a regalarmi affetto. Parto spesso troppo forte, sbagliando, ma una volta giunto ad un certo punto è come se una porta dentro di me si chiudesse, quasi lo facesse per salvaguardare il mio animo, finendo inevitabilmente di ferire coloro che hanno provato invece a stare al mio fianco. Ho capito che ferire chi ci vuole bene fa molto più male che essere ferito, e questa era una cosa a cui davvero non avevo mai pensato.


Ora parto per il mio viaggio.
Che i sospiri gelidi dei Vættir, spiriti che secondo ma mitologia norrena proteggono le selvagge coste norvegesi, siano invece in grado di scaldarmi il cuore.

Matteo.


sabato 11 gennaio 2014

Mille giorni.

Il caffè che sale dalla moca pare che abbia quasi il rumore di onde, scogli e vento. Onde, scogli e vento, e non è un caso che torni a scrivere nel mio blog proprio ora. Onde, scogli e vento, nella mia isola norvegese ci sto per tornare un’altra volta, a un anno e mezzo dal mio ultimo toccata e fuga, e più di due anni e mezzo dalla fine di un’esperienza che ha riconsegnato un Matteo diverso. Non so se, e soprattutto non so con che costanza tornerò ad aggiornare questo mio spazio. Oggi però è già un primo passo.


11 gennaio 2014

Vent’anni sono un’età bellissima, dove il sole bacia il volto anche mentre piove, dove ci si crede pronti per essere adulti, dove ci si lamenta per i problemi senza sapere effettivamente questi problemi cosa siano. È  come sedersi in prima fila alle montagne russe e crogiolarsi tra la paura ed il vento che ci alza i capelli.
A vent’anni si sa ancora molto poco della vita, ma si ha la presunzione di poterla cavalcare.


Rileggere queste decine di racconti a questa distanza, temporale e fisica, mi chiude un po' lo stomaco. L'ultimo post è datato 21/06/2011, ci sono di mezzo quasi 1000 giorni. E in questi giorni, di cose ne sono successe tante, due anni e mezzo di emozioni che si sono susseguite senza sosta. A volte belle e a volte meno, ma pur sempre emozioni, e senza di esse la melodia della vita non sarebbe altro che il suono di una chitarra monocorda. Non so quanta voglia potrei avere di fermarmi qui a raccontarvele, perlomeno ora non lo farò. Tante cose nuove che hanno preso il posto di quelle che sono uscite.
Vita, un po' come una partita di shangai. Quando togli un bastoncino, speri sempre che non cada di conseguenza anche tutto il resto, ma a volte è capitato anche questo.

Ho avuto la fortuna immensa di poter visitare luoghi -nel mondo, e anche dentro di me- e Paesi che fino a qualche anno prima potevo solo indicare sulla cartina del mio libro di geografia, rimanendone affascinato ad ogni volto e ad ogni usanza diversa dalle mie che incontravo per la mia strada. Ho incontrato sprazzi d’amore, di paura, di povertà e di sogni, ed ognuna di queste cose ha lasciato qualcosa dentro di me. Più le cose, appunto, che le persone. Perché le persone non si fermano mai, possono entrarci nel cuore e a loro volta uscirci, in un attimo, facendo la cosa sbagliata. Ciò che ti resta dentro poi forma lo zaino che il cuore dovrà saper essere in grado di reggere quotidianamente.

A presto.

Matteo